bella scoperta!

Stiamo da tempo acquisendo la netta percezione, che l’antico (ed attuale) esercizio di tutti i ricercatori che guardano alle vetuste manifestazioni visibili dell’entità umana, sia interprete - con una avara visuale troppo incentrata sullo specifico oggetto del loro interesse - di una impostazione ricercatoria tesa a rilasciare, necessariamente, una primogenitura per ciascuna manifestazione.
Ancora una volta dobbiamo stigmatizzare ciò. Ma, forse, dovremmo tacere per il futuro, perché comprendiamo essere (questo esercizio) esito di contenuti mentali del comune uomo di cultura che, con il suo necessariamente circoscritto sapere, va a sindacare un qualsiasi ambito cui dare (maggior) luce, delimitando il suo cercare al solo strettissimo ambito che si è proposto: un popolo, un’epoca, una manifestazione materiale, una espressione culturale, pensandoli sempre avulsi da qualsiasi esterno consesso.
La tara che, l’uomo di cultura, nel suo (peraltro ammirevole) lavoro disvelatorio di incognite del passato, si porta appresso quale ingombrante, inutile fardello, è rappresentata dalla sua errata convinzione, fissatasi in forma definitiva sui banchi di scuola e nell’università (ove le problematiche, gli ambiti, ovvero l’insieme di studio, sono presi ed individuati singolarmente) che l’oggetto del suo impegno, possa essere isolato in un certo quadro originario, nel quale prese vita, si evolse, fruttificò, restandone permeati, per un certo periodo, tutti gli apparati solo appartenenti a quel contesto, rimanendone esclusi tutti gli altri, per decenni, secoli o millenni. Essi, in sintesi, hanno avuto l’apparato mentale strutturato dalla cultura nella quale si sono formati.
Pertanto, addivengono ad una distorta resocontazione di lontani accadimenti: i Romani, vengono visti come entità a sé stante senza i necessari collegamenti territoriali, culturali, politici e storici con tutto il suo contorno geografico; dei Cartaginesi si da una parziale veduta, storica e contestuale, avulsa dal resto del Nord Africa; si ha una tale visione dello stile ceramico campaniforme che, paradossalmente, avrebbe dovuto disgelarne l’universalità dell’intento; il culto della Dea Madre attribuito ora a questa ora a quella cultura geograficamente attestata; la scrittura, la cui manifestazione ipostatica viene attribuita ai Sumeri, della cui origine e provenienza nulla si conosce, ponendo dei seri dubbi circa la corretta loro primogenitura.  
La tara di cui si tratta, soprattutto in relazione ai primi due esempi, è semplicemente di carattere culturale e può essere rimossa solo da una diversa impostazione del percorso formativo.
Riguardo invece gli altri campi citati, essa possiamo definire con il più chiaro vocabolo  “isolamento”, ma avente due accezioni ben definite: la prima da intendersi in senso propriamente geografico, la seconda riferita ad un isolamento “culturale”, ritenendosi le popolazioni vicine (sic!) portatrici di un decisamente arretrato modus vivendi (leggasi appendice*).
È proprio con una idea di isolamento che gli studiosi si rivolgono ad un passato più o meno lontano: essi riversano sull’antico oggetto di studio, la loro errata percezione che una  comunità del passato dovesse vivere isolata in una certa area geografica senza possibilità, se non fortuita, di comunicare con l’esterno. Ciò appare ad essi veritiero, perché ritengono (senza dimostrarlo) mancassero quasi totalmente, nel passato da essi immaginato, gli spostamenti ovvero mezzi e stimoli per percorrere grandi e grandissime distanze o superare ostacoli che tutt’oggi paiono insormontabili. Ebbene, riteniamo sia necessario rimuovere questa tara, anche per quelle manifestazioni che ebbero la loro genesi nel lontano Paleolitico superiore e medio. Intanto, ricordando che l’uomo dei nostri giorni è esattamente uguale, nella sua struttura cerebrale, all’uomo del Paleolitico medio-superiore, il quale anche possedeva strutture politiche e sociali, era in grado di risolvere verbalmente un problema, aveva imbastito convenzioni linguistiche con regole fonologiche e grammaticali ed aveva sviluppato metodi di trasporto di oggetti pesanti.
Per sgombrare il campo della tara, diremo brevemente e senza voler andare troppo indietro nel tempo, che grandi spostamenti furono resi possibili sul mare, per mezzo del quale nel Paleolitico medio (60.000 BP) fu raggiunta la parte meridionale dell’Australia, attraversando il Mare di Timor. Sempre nel Paleolitico, medio-superiore (30-33.000 BP), l’ossidiana di Kars, dalla Turchia nord-orientale, veniva portata, lungo un tragitto di 800 km., fino alla grotta di Shanidar, in Iraq. Di nuovo via mare, per focalizzare un  insieme geografico-politico a noi più d’appresso, almeno dal Paleolitico superiore (XIII millennio da oggi), le ossidiane di Monte Arci e di Lipari venivano portate, via mare, nelle grotte liguri.

* Appendice - In questo secondo caso rientrano ancora i Cartaginesi, nello studio dei quali, i vicini Nordafricani non vengono degnati d’un guardo a ragione della loro supposta arretratezza. Naturalmente, nel fare ciò, gli studiosi hanno tralasciato di considerare almeno un aspetto dirompente verso il loro ameno cinguettare: i “poveri” Nordafricani stavano costringendo i “grandi” Cartaginesi - ormai da tre secoli! – a pagare l’affitto per tutto il territorio da essi occupato, comprendente la città ed i suoi dintorni. E quando i velleitari Magonidi, pretesero con l’uso delle armi, portare la guerra ai padroni di casa, con l’intento di non più pagare il canone, il grande Asdrubale ed il fratello Amilcare, furono vergognosamente sconfitti. In questo frangente i Nordafricani dimostrarono, ben oltre la loro superiorità nell’arte militare, una loro sopraffina compostezza e culturale e imprenditoriale, evitando di distruggere Cartagine, la quale rappresentava la fonte di un profitto troppo importante per la loro comunità. All’uopo pretesero il versamento del corrispettivo per tutti gli anni arretrati e ovviamente il rinnovo del canone per gli anni a venire.