BOMBA ATOMICA DELL’ARCHEOLOGO: NON C’È MAI STATA UNA COLONIZZAZIONE DA PARTE DEI FENICI

la sfrontatezza degli adoratori dei fenici: Tronchetti merito eloquerit

sul quotidiano Unione Sarda del 24/11/2011, alla pag. 46 esce una nota a firma Carlo Tronchetti, con la sottostante dicitura “ex direttore Museo archeologico di Cagliari”, quasi a suggerire al lettore di vedervi uno scritto patente, una lettera aperta dell’autorità.
Avevamo detto una volta, ad aprile 2009, che “i fenici non sono mai esistiti” in un forum di saccenti. Fummo massacrati in modalità davvero antidemocratica, essendone cancellata anche tutta la serie di commenti alla nostra affermazione. Fummo inseguiti anche su altro forum che avevamo iniziato a frequentare ed ivi furono oggetto di minacce anche i gestori dello stesso sito, i quali si rifiutarono di ospitare la nostra circostanziata denuncia sui soprusi subiti e la messa in chiaro delle bugie raccontate dal misero tizio incaricato della persecuzione. Questo excursus per raccontare anche che, al sommo della disperazione per non poter esprimere le nostre idee, ci rivolgemmo telefonicamente al quotidiano di cui sopra, nella persona di una non gentile signora che curava una sorta di rubrica di lettere al direttore. Non appena ella sentì de “i fenici non sono mai esistiti”, saltò su tutte le furie scaricandoci addosso intiero il suo livore ed affermando che mai e poi mai avrebbe accettato nella sua rubrica un nostro scritto perché le biblioteche erano strapiene di libri che affermavano il contrario.
Bene, questa la situazione di “conoscenza” creata da tutti i cattedratici e studiosi adoratori dei fenici, che negli ultimi settanta anni, hanno sempre basato le loro teorie di una supremazia culturale fenicia insegnando, scrivendo, discettando sull’arrivo in Sardegna dei precolonizzatori e dei colonizzatori fenici che, come diceva l’immaginifico Barreca nel 1986, erano costretti, nell’XI secolo a.C., ad usare i segnali di fumo per aver modo di comunicare con gli indigeni dell’Isola, dai quali li separava un gap culturale incommensurabile: lo testimonia la cronica incapacità di questi ultimi di comprendere alcunché rappresentasse una modalità comunicativa appena appena più evoluta del far sollevare il residuo gassoso di una combustione (La civiltà fenicio-punica in Sardegna, p. 20), quindi i disgraziati indigeni non erano in grado neppure di parlare e figurarsi se potessero avere una neanche pallida costumanza con lo scrivere.
Per ritornare al Tronchetti, egli era naturalmente della partita e si dilettava nel 1988 a dichiarare la presenza colonizzatrice fenicia in Sardegna. Tra l’altro, e per questo lo ringraziamo, l’archeologo pisano fa intendere che i fenici furono portatori di “piccole statue di bronzo” rinvenute al centro dell’Isola che «si collocano cronologicamente in un arco di tempo molto ampio, addirittura dall’XI sino alla fine del IX secolo a.C.» (I Sardi, traffici, relazioni, ideologie nella Sardegna arcaica, p. 28). Tale sua dichiarazione (se scientificamente corretta, come crediamo per la serietà dello studioso), ora che noi abbiamo messo a nudo tutta la inconsistenza del mondo fenicio, fornisce una forte testimonianza circa la autonoma ed originale produzione, da parte dei Sardi, dei loro bronzetti, in un momento ben precedente quell’XI secolo che egli indica come datazione del contesto archeologico in cui arrivarono e sono state rinvenute quelle opere d’arte. Naturalmente, questa dichiarazione è una di quelle tante che noi abbiamo definito come messaggi subliminali inviatici dagli studiosi di cose fenicie che, se lette nella corretta luce, tendono a far naufragare tutto l’impianto fenicio. Il Tronchetti era però perfettamente convinto di una colonizzazione fenicia territoriale e culturale in Sardegna. Infatti, egli racconta, sempre nel 1988: «Gli studi più recenti e attendibili sulla colonizzazione fenicia […] mettono in evidenza tutta questa serie di evidenze (che, ndr) concorre a ricostruire l’immagine di una colonizzazione fenicia che si insedia in località costiere». Egli consolida il suo pensiero più oltre quando afferma che i fenici erano padroni assoluti di una parte della Sardegna, infatti, egli afferma: «I rapporti con il mondo esterno, per la fascia costiera sudoccidentale della Sardegna costellata di città e di semplici approdi fenici, a partire almeno da Capo Carbonara, se non da Santa Maria di Villaputzu, sino a Tharros, se non a Bosa […] sono adesso in mano ai Fenici»: da ciò si evince come egli ritenesse che i suoi fenici avessero assoggettato totalmente quelle popolazioni attestate in quasi metà del continente Sardegna, non solo sotto il profilo territoriale ma, soprattutto, ci dice l’esimio archeologo, avevano culturalmente allevato e preparato le popolazioni della Sardegna, portandole a costruire un tessuto industriale, i cui prodotti poi, essi e soltanto essi, sfruttavano commercialmente.
Nel 1990, (con Cagliari Fenicia e Punica, in Sardò, p. 51), ci racconta che: «[…] siamo, però, sicuri che, almeno dalla fine di questo secolo (VII a.C., ndr), la Cagliari fenicia è una realtà. Anche se i resti delle strutture […] sono assai modesti, essi costituiscono una documentazione precisa ed inoppugnabile dell’esistenza della colonia fenicia».
Nel 1999 declama: «[…] attorno al 750 a.C., l’isola inizia ad essere interessata dalla vera e propria colonizzazione fenicia» (su Cagliari Museo archeologico nazionale. Guida alla visita, p. 22).
Ancora nel 2005, troviamo lo stesso studioso ben assiso sui suoi inamovibili assiomi fenici. Egli infatti, avendo questa volta la statuaria ed il sito di Monti Prama a base del suo contributo, conferma la conquista fenicia del Sinis oramai interamente colonizzato, perché ci rende edotti circa la: «prorompente presenza fenicia localizzabile a pochi chilometri di distanza verso sud […] (ove, ndr) si trova [...] il grande centro fenicio di Tharros» (Le tombe e gli eroi. Considerazioni sulla statuaria nuragica di Monte Prama, in Il Mediterraneo di Herakles).
Bene, nella nota sul quotidiano di cui abbiamo fatto cenno, come avevamo facilmente pronosticato nel passato, scopriamo che del castello fenicio è crollata proprio tutta l’ala più consistente: tutta la parte edificata sulla colonizzazione! Andiamo a leggere.
Intanto diciamo, perché è stato dimostrato dal Paraskevaidou nel 1991 e ripreso da altri ripetutamente, che nessuno può permettersi più di riferirsi ai fenici definendoli, come ha fatto il Tronchetti nella sua nota, “uomini rossi” perché la scienza onomastica non lo permette. Ma, ecco caro lettore come (con italiano zoppicante) ci vengono presentate le rovine della colonizzazione fenicia, dalle precise parole di Carlo Tronchetti ex direttore del Museo di Cagliari, consegnate al suo messaggio patente:

«Ma attenzione! […] non è che i Fenici venivano a “colonizzare”
o che erano portatori di una cultura superiore. Tutt’altro»

Dio onnipotente, ti ringraziamo a nome di tutti quei Sardi che sono riusciti a non smarrire la loro dignità non prestando fede a balzane idee e dissennati decreti che li dipingevano come sempre succubi di chicchessia! Ma, Ohibò!
Riprendiamoci un attimo e respiriamo profondamente, perché qui siamo alfin giunti al crollo del muro di Berlino!
Pertanto, da questo momento sappiamo che quei tali fenici, che noi definimmo essere non un popolo, ma una cultura d’una moltitudine di genti, non colonizzarono affatto Sulci, Sirai, Tharros, ecc., ecc., ecc. Ergo, il Tronchetti è stato mandato (ma perché proprio lui?) a dichiararci che tutte quelle realtà urbane, sociali, politiche, industriali hanno sempre avuto una connotazione fortissimamente ed esclusivamente SARDA. Solo una miope lettura, ignorante il grandioso passato della Sardegna, ci ha tenuto sulle spine di una non credibile perduta identità, per tutta questa lunghissima serie di decenni, durante i quali sono state scritte montagne di libri infarciti di menzogne, per il piacere di pochi inabili addetti ai lavori, che si sono andati anche copiando vicendevolmente per decenni.
Come avevamo diagnosticato, gli studiosi di cose fenicie, tutti quanti, indistintamente, ben consapevoli che i fenici non sono mai esistiti, ci mandano dei messaggi che ci dicono: badate che non è tutto oro quel che luce. Quello del Tronchetti è solo l’ultimo in ordine di tempo; ci piace deliziarti caro lettore, solo con gli ultimi due di cui abbiamo coscienza.
Piero Bartoloni disse in un convegno del 2010: «i Fenici arrivano in Sardegna alla spicciolata, arrivano in pochi, in poche decine»!
Ancora il Bartoloni, titolare della cattedra di archeologia fenicio-punica all’università di Sassari, in un convegno racconta: «[…] per quanto riguarda le sepolture di Monte Sirai, i risultati sono eclatanti, perché naturalmente (si analizzi il contenuto significativo dell’avverbio), in tombe, che come correnti sono fenicie, in realtà vi sono persone che dal DNA risultano probabilmente locali!»!
Come si può comprendere, gli studiosi sono perfettamente coscienti che la verità è diversa da come essi la raccontano, ma rivelandoci la stessa a frammenti, che passano per lo più inosservati o rilevati soltanto da alcuni come noi, i quali non sono ascoltati perché i mezzi di informazione si rifiutano (vedi supra) di ospitare note o articoli che non siano appiattiti su fossili nozioni, essi tacitano intanto la loro coscienza ed al momento opportuno ci racconteranno chiaramente essi stessi, ma facendoci cadere la dichiarazione dall’alto della loro scranna, quasi fosse esito di una loro specifica ricerca, che si, effettivamente: I FENICI NON SONO MAI ESISTITI. Ma, faranno riferimento anche a tutti quei messaggi subliminali (o forse sarebbe meglio definire subdoli) che sono andati rilasciando negli anni. A ben guardare questa loro parsimoniosa distribuzione di verità, ci par di capire essere destinata a formare il tappeto necessario ad attutire la caduta rovinosa della loro credibilità, salvando così la loro posizione nell’area del potere culturale dell’Isola e del mondo.
Vi sono anche due dichiarazioni risibili e paradossali ad un tempo, nella stessa nota sul tal quotidiano, ma come diciamo spesso, ci è venuto meno il piacere di sempre picchiare i bambini e pertanto lasciamo libero il campo perché altri lo faccia.