La risibile presunzione dei genetisti, circa un antico isolamento della Sardegna

 Questa nota si è generata a seguito di un dibattito in cui si misero in dubbio le mie opinioni che danno i Sardiani come la popolazione primaria ed indipendente, attrice dei primevi spostamenti nel Mediterraneo e, parzialmente, in area centro-europea. Ed a seguito di questa mia frase «[…] debbo dire che questa terribile solfa, che data ad un secolo ormai, dello “ISOLAMENTO DELLA SARDEGNA” FU DETTATA DALLA PERFETTA IGNORANZA DEL MONDO INTERO NEI RIGUARDI DELLE COSE DI SARDEGNA!», decisi di dimostrare, soprattutto ai genetisti, la veridicità di questa mia asserzione! Ed inizio la esposizione del mio pensiero, proprio dal punto in cui si auspicava la esecuzione dei lavori in area genetica “in un’ottica multidisciplinare”.  

Anch’io sono solito sollecitare la necessità, in qualsiasi ambito, della implementazione sul campo delle disponibilità culturali e strumentali di tutte le discipline necessarie, ma ciò viene inteso, da tutti gli operatori indistintamente, come doversi cercare quelle discipline, soltanto “nel proprio più ristretto ambito”!
È, questo, un tasto il cui dolorare metto in mostra tante volte. Cerco di spiegarmi ancora, entrando nel vivo di due casi, uno strettamente vicino ed uno, ancor più strettamente, lontano nel tempo.
Per fare ciò ricorro ad un articolo scientifico comparso sulla rivista Plos Genetics, che rappresenta l’emblematica dimostrazione della scorrettezza intellettuale messa in atto per dichiarare esservi stato un isolamento geografico e quindi genetico dei Sardiani, nell’antichissimo passato.
L’8 di magggio del 2014, fu pubblicato questo lavoro:
«Population Genomic Analysis of Ancient and Modern Genomes Yields New Insights into the Genetic Ancestry of the Tyrolean Iceman and the Genetic Structure of Europe», che risulta essere firmato da certo M. Sikora insieme ad altri 24 autori, provenienti da vari istituti di ricerca sparsi nel mondo: Department of Genetics, Institute of Evolutionary Biology, Centre for Advanced Studies, Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica, Center for Statistical Genetics, Scienze Biomediche, Facultad de Ciencias, Archaeological Institute, NAI & M, University, Life Technologies, University Hospital, Institute for mummies.
Notiamo come quelle enumerate siano istituzioni attinenti alla genetica in senso lato. Anzi, no, ce n’è una che si dichiara Istituto Archeologico. Ed eccoci arrivati al punto: è qui presente forse, il coinvolgimento delle discipline che stanno fuori dalla cerchia stretta intorno alla genetica, la cui assenza sono solito biasimare? Allora, finalmente sono stato smentito? Niente affatto! L’Istituto archeologico (bulgaro) è stato coinvolto “soltanto” perché nel lavoro si prende in considerazione un campione di materiale genetico prelevato a dei resti - trovati in uno scavo archeologico - di un “agricoltore” dell’Età del Ferro, giacente in Bulgaria (il famoso P192-1), nel quale si riscontra, come per altri resti in Europa, “la solita relazione di parentela con i Sardi”! Tutto qui! Non v’ha un coinvolgimento ad ampio spettro di altra disciplina che venga chiamata in causa nella valutazione di dichiarazioni date per scontate! Quindi in buona sostanza, si può affermare che, il lavoro è stato condotto, portato a termine e se ne son tratte conclusioni, soltanto da tecnici che si occupano di genetica.
Ed ora, andiamo a scoprire l’immane portata, del danno che procurano questi “pseudo” studi, alla percezione dell’andamento STORICO dei movimenti delle popolazioni in Europa!  Questo stesso studio “Population genomics …”, ce ne fornisce eclatante misura in duplice veste!
Nel paragrafo riservato alla “Discussion” gli autori, tra l’altro, comunicano:
«I Sardi sono stati lungamente riconosciuti come costituire un elemento largamente anomalo all’interno della contemporanea diversità genetica europea, spesso interpretato come conseguenza di isolamento genetico e/o l’effetto del fondatore nella storia demografica dell’isola». Subito, qui, risulta chiaro, come gli autori stessi dichiarino che la causa della suddetta anomalia NON RISULTI AFFATTO INDICARE UN ISOLAMENTO GENETICO (ovvero geografico) della Sardegna, ma che parrebbero le cause, essere ben due! Essendo la seconda, quello “effetto del fondatore” che risale al primo uomo arrivato in Sardegna, nel Pleistocene medio inferiore!
Beh, vedo quanto facile sia cadere nella menzogna, quando si ha poca voglia di andare a fondo alle problematiche! Anche chi come il sottoscritto, avesse poca dimestichezza con le tecnicità del campo della genetica, si sarebbe comunque accorto come, nelle decine di studi portati a termine dopo la scoperta del genoma del sardo Oetzi, NON VE NE SIA NEMMENO UNO che per giustificare l’anomalia genetica dei Sardiani,  RICHIAMI L’EFFETTO DEL FONDATORE!  E, questo modo di lavorare è grandemente errato e ritengo anzi, al limite della denuncia penale, causa il consapevole occultamento della prova!   **primo punto negativo**
Gli autori si rifanno (nota 37) ad un lavoro di  L.L. Cavalli Sforza e A. Piazza del 1993, il cui contenuto venne ampiamente riportato nel 1994 sulla versione originale del saggio “Storia e geografia dei geni umani” alla cui stesura contribuì anche P. Menozzi, pubblicato in lingua italiana nel 2000. Ecco cosa scrivono gli autori in questo ultimo saggio[1] e, data la delicatezza esplicativa del contesto, se ne riporta ampio stralcio:
Ed avverto: questo primo che segue, è la parte terminale del concetto espresso subito prima del contesto che vorrei esaminare, e con il secondo agisce da collettore letterario. Ed ecco, appunto, il primo:
«Tuttavia molte differenze linguistiche in Europa sono relativamente recenti, e poco si sa di quelle relative, ad esempio, a 3000 anni fa. Al contrario, le maggiori differenze genetiche in Europa riflettono eventi più antichi, e fenomeni che si verificarono nel Paleolitico e nel Neolitico determinarono le strutture più importanti percepibili dalle mappe sintetiche». Ed ecco il, fondamentale, secondo:
«Alcune popolazioni europee sono anomale dal punto di vista genetico: qualcuna potrebbe realmente discendere da popolazioni antiche (cioè essere un «relitto genetico»), altre sono forse risultato dell’azione della deriva genetica[2]. In entrambi i casi è necessario e ragionevole supporre un isolamento genetico quasi totale. Talora, però, entrambi i meccanismi hanno contribuito a generare le anomalie osservate. La condizione insulare della Sardegna e dell’Islanda ne ha favorito la diversificazione genetica. L’origine degli Islandesi è abbastanza recente da permettere di rilevare in modo chiaro la loro derivazione storica e genetica dai Norvegesi. Più oscura, invece, appare l’origine dei Sardi, che è circa dieci volte più antica e in cui probabilmente l’effetto del fondatore ha avuto un ruolo più importante».
Bene! Ed, ecco come renderei il testo (questo ultimo) per, subito apprezzarne gli elementi salienti riguardo la “anomalia” dei Sardi:
«qualcuna delle popolazioni europee, potrebbe realmente discendere da popolazioni antiche, altre sono forse risultato dell’azione della deriva genetica. In entrambi i casi è necessario e ragionevole supporre un isolamento genetico quasi totale. Talora, però, entrambi i meccanismi hanno contribuito a generare le anomalie osservate. Nel caso dei Sardi, oscura appare la loro origine, in cui probabilmente l’effetto del fondatore ha avuto un ruolo più importante».
Ora, le due frasi: «In entrambi i casi è necessario e ragionevole supporre un isolamento genetico quasi totale» e «Talora, però, entrambi i meccanismi hanno contribuito a generare le anomalie osservate», anche nella dubbiosità dichiarativa di entrambe le frasi (che si rivela in “ragionevole supporre” l’una, ed in “Talora, però” la seconda), volendo usare un incedere matematico-filologico, a me pare si elidano a vicenda. Pertanto, se volessi presentarvene il succo, ecco cosa riporterei in estrema onestà:
«qualcuna delle popolazioni europee, potrebbe realmente discendere da popolazioni antiche, altre sono forse risultato dell’azione della deriva genetica. Nel caso della origine dei Sardi, probabilmente l’effetto del fondatore ha avuto un ruolo più importante degli altri parametri».
E quindi, è o non è, la definizione appena scoperta, l’unica della quale degli onesti genetisti dovrebbe tener conto (dal momento che essi son soliti sceglierne una sola) nel tentare di ipotizzare una origine dei Sardi?
Cosa ne pensate cari pochi lettori? Considerate anche, aver la fortuna voluto che nel primo stralcio (quello da me nomato “il collettore”) v’ha un importante aiuto al cogente significato del “succo”. Infatti, i signori Cavalli-Sforza, Menozzi, Piazza, affermano che: «[…] le maggiori differenze genetiche in Europa riflettono eventi più antichi, e fenomeni che si verificarono nel Paleolitico e […]». Infatti, affermare che “le maggiori differenze genetiche”, cioè le “anomalie” dei Sardi, ebbero la loro nascita nel Paleolitico, equivale proprio a dire che: «L’EFFETTO DELL’ANTICO FONDATORE HA AVUTO UN RUOLO PIU’ IMPORTANTE! 
Ricordo appena che, due grandi ricerche (una italiana ed una olandese), più una mezza, non pubblicata (sarda), concordano nel concludere che nel Paleolitico inferiore è già manifestamente presente l’uomo in Sardegna.[3]    **secondo punto negativo**
Pertanto, vedo quì raggiunta la certezza a considerare ormai, coloro che continuano a suonare il disco rotto dell’isolamento geografico della Sardegna a motivo della  diversità genetica dei Sardi, DEI FATUI  CANTASTORIE  che cercano, svogliatamente, di raccogliere il pane quotidiano, lungo le strade ed a discapito della incolpevole Scienza Genetica.  
Bene! Tutto sistemato finalmente!
Ma, volendo lavorare con una certa serietà, anche a questo punto in cui la questione è chiarita …
Ma, la questione è davvero definitivamente chiarita o avremo sempre il “buontempone” che non si accontenta di seguire il percorso banale, ma stringente nella sua efficacia dimostrativa, presentato appena supra? Beh, a questo punto, lettore esimio, sono costretto ad usare le maniere forti!
Innanzitutto, v’è da dire che  MI LASCIA OLTREMODO PERPLESSO  la definizione partorita dai signori Cavalli-Sforza, Menozzi e Piazza: “La condizione insulare della Sardegna ne ha favorito la diversificazione genetica”! Ora, io credo che, tre personaggi d’altissimo livello scientifico, che han trascorso il loro vissuto sui libri ed al chiuso dei laboratori, nella precisa circostanza, avrebbero dovuto scendere dalla cattedra e considerare che,  LE NULLE LORO CONOSCENZE  sulla atavica capacità (sviluppatasi nelle tante decine di millenni) ed innumeri espedienti posti in essere, da parte dell’uomo nell’andare per mare, non potevano IN NESSUN CASO, permetter loro la esternazione di una benché minima dichiarazione in merito a  “La condizione insulare della Sardegna”! Anzi! Ben al contrario, dichiaro che proprio la condizione insulare dei Sardi, avrebbe dovuto suggerir loro, che era naturale essi fossero fra i più indiziati d’essere particolarmente consumati nelle tecniche di navigazione che il portentoso spirito della scoperta forzatamente spinge oltremare, facendo abortire continuamente qualunque “isolamento”!
Ma, purtroppo, come sempre succede all’uomo poco avveduto, anche i grandi scienziati sono incappati nell’errore. Che sia stato un grave errore non sono il solo a riferire, facendomi buona compagnia nientemeno che “una intera disciplina scientifica”! Infatti, amato lettore, tu neppure immagini qual tiro mancino abbia giocato lo studio della geografia, meglio, della  geomorfologia del Mediterraneo, ai tre chiarissimi studiosi appena nomati ma, sopratutti, agli illusi che fantasticano, ancora oggi, nel credere e diffondere un mai esistito isolamento geografico della Sardegna e quindi genetico dei Sardi!
La ricerca sulla modificazione subita, nelle ultime decine di millenni, dalla linea di costa delle terre emerse, ha portato a scientificamente stabilire che la Sardegna dell’antico passato, era per nulla uguale alla Sardegna dei nostri giorni!  Infatti, è triste constatare che  SOLTANTO IN VIRTU’ DI COME SI PRESENTA “OGGI” LA SARDEGNA SULLA CARTA GEOGRAFICA, fu partorito il “circa mezzo pensiero” su “La condizione insulare della Sardegna” da parte dei Cavalli-Sforza, Menozzi e Piazza!  E, QUESTO VA RIBADITO A CHIARISSIME LETTERE, caro passivo sardo pensatore!       **terzo punto negativo**
 
a suffragio di quanto emerso fin quì
 
A tal uopo, si consideri che persino Erodoto, Pausania e Claudiano (circa 2450 anni fa il primo, circa 1850 anni fa il secondo e circa 1600 anni fa il terzo) dissero rispettivamente che, la Sardegna era “la più grande delle isole” (perché trattavasi dell’emerso blocco sardo-corso), che “la Corsica rappresentava la parte settentrionale della Sardegna (Paleolitica)” e che “della Sardegna quella parte che guarda verso l’Orsa (cioè la parte settentrionale, ndr), è invece fredda, rocciosa, ventosa, risuonante di venti improvvisi”. Essendo questa ultima: esattamente la descrizione climatica che della Sardegna settentrionale ci lasciò Pausania, ovvero la descrizione che, sulla Treccani, ci fornisce il Toniolo per la odierna Corsica![4]
Ora, andando a verificare la mappa che ricostruisce il paleo ambiente dell’Ultimo Massimo Glaciale[5] (datato questo, a 22.000 ± 2.000 anni fa), ci si rende conto che le odierne Sardegna e Corsica, effettivamente costituivano una sola terra emersa! Proprio quel cosiddetto blocco sardo-corso, che  definii dieci anni fa essere “la Sardegna Paleolitica”!  Rilevando delle misurazioni anche su tale mappa, si viene in possesso dei seguenti importanti parametri[6]:
- 1- 33.000 anni fa, la distanza della Sardegna Paleolitica dal Continente poteva essere 20-25 miglia
- 2- 22.000 anni fa,         “                    “                   “                        “          era pari a circa 5  miglia
- 3- 10.000 anni fa,         “                     “                   “                        “         era pari a circa 18 miglia
 
D’altro canto, è facile rilevare come, seguendo lo svolgersi degli anni verso l’oggi, sia dimostrabile una condizione geografica per la nostra Isola che, NESSUNA PERSONA, dotata di equilibrio nel pensare e giudicare, può definire di isolamento! Infatti, espandendo la scaletta precedente abbiamo:
 
-4- 8.000 anni fa, la distanza (divisa per tratte) della Sardegna Paleolitica dal Continente era così           
composta: 1° tratto: Sardegna Paleolitica-Grande Pianosa[7] circa 17,5 miglia, 2° tratto:              Grande Pianosa-Isola d’Elba circa 3 miglia, 3° tratto Isola d’Elba-Terraferma circa 8 miglia
-5- 5.000 anni fa, 1° tratto: Sardegna Paleolitica-Isola di Pianosa circa 21,5 miglia, 2° tratto: Isola
             di Pianosa-Isola d’Elba circa 7,5 miglia, 3° tratto: Isola d’Elba-Terraferma circa 8 miglia
-6- 2.000 anni fa, il percorso dei natanti era quasi identico a quello indicato nel punto -5- ma, riservandosi un riparo a Pianosa solo in condizioni climatiche disperate.
Naturalmente, v’ha da dirsi che, nelle condizioni meteorologiche ottimali fosse possibile, negli ultimi due periodi presi in considerazione, una più meridionale rotta: Sardegna Paleolitica, Montecristo, Giglio, Orbetello. È pertanto chiaro che, anche il lettore meno attento, possa dichiarare liberamente che soltanto persona affetta da gravi problematiche, oppure persona disonesta, o persona che preferisca vivere nell’ignoranza, NEGLI ULTIMI DIECI ANNI possa aver parlato di isolamento geografico della Sardegna per il periodo che abbraccia almeno gli ultimi 33.000 (diconsi trentatremila) anni! 
Molto bene! Ma, poiché una buona torta richiede la sua ciliegina, ebbene nell’occasione, mi aggrada circostanziare come le ciliegine vadano a riempire, un piccolo cestino!  Infatti, ho anche il piacere di portare delle prove tangibili del continuo, multi millenario, imprenditoriale passaggio dei natanti sardiani carichi d’ossidiana, percorrenti proprio le rotte suindicate! Alcune “cariasas” abbiamo l’ardire  cogliere in area archeologica, altre son coltivate in ambito di natura storica! Nel distribuire le prime  possiamo dire che:
-          Ossidiane sarde (insieme ad altre liparote) sono state trovate nell’Isola di Capraia[8] che trovasi su una rotta che è compatibile col percorso -1- della scaletta; ed a maggior conforto di ciò, mi preme riportare come, nel sito (che i Francesi definiscono preneolitico[9]) di Pietracorbara, nel Capo Corso, che trovasi ad una latitudine di poco inferiore (ma corrispondente, in termini di rotta marittima) a quella dell’Isola di Capraia, sono presenti ossidiane sarde, in maggioranza del tipo SB[10] 
-          tre ossidiane sarde, due tipo SC ed una tipo SA, sono state trovate nell’Isola d’Elba[11] senza una certa classificazione temporale
-          quattordici ossidiane sarde sono state trovate a Pianosa, di cui cinque di tipo SB2, nell’isolotto di La Scola riferito all’antico Neolitico[12]
-          sono state rinvenute ossidiane anche all’Isola del Giglio in contesto Neolitico antico, ma non analizzate
Queste, appena evidenziate, non son altro che le poche prove che è stato possibile recuperare nei luoghi che ancora non sono stati sommersi dalla risalita del mare iniziata, nel suo ultimo ciclo, 22.000 anni fa circa. Delle tante altre prove dei traffici imbastiti dagli antichissimi imprenditori sardiani, prove certamente presenti nelle aree oramai sommerse, non possiamo avere documenti se non attraverso una mirata ricerca subacquea. In relazione alla disponibilità di una grande tipologia di tracce (si pensi all’ossidiana, ma anche alla ceramica sarda trasportata[13], oltre i relitti delle imbarcazioni connesse all’impresa marittima) basti pensare alla sola Isola di Pianosa, che è oggi ridotta ad un terzo rispetto alla superficie di 8.000 anni fa. Ma, ancor meglio si rende l’idea se pensiamo che circa 10.000 anni fa, la stessa Pianosa, insieme all’Isola d’Elba, era congiunta con la penisola italiana, essendo la Sardegna ad appena 18 miglia! Ovviamente, come ho dimostrato in altra sede[14], le navi sardiane erano perfettamente in grado di navigare per tutto il Mediterraneo e quindi, ove occorresse portare, direttamente, ossidiana ai Liguri, ai Provenzali, agli Iberici del nord-ovest, avendo anche più facile gioco nel portare a compimento l’impresa commerciale, decidevano e decidettero di attraversare l’alto Tirreno per giungere a destinazione![15]
A nessuno può essere sfuggito come, la multimillenaria consuetudine e tecnica dei Marinai Sardiani nello scoprire e percorre le varie rotte prima elencate, abbia rappresentato un formidabile  imprinting per tutte le popolazioni dell’area che si sono susseguite nelle ultime due decine di millenni! Esse (eventualmente salvo alcuna, che altri vorrà individuare aver pur essa fatto da battistrada, che però il mio impegno non ha mai incontrato), avranno individuato essere quella che veniva loro mostrata, una portentosa “scoperta dell’uomo”, da fare assolutamente propria e da memorizzare nei meandri più profondi della propria tradizione e trasferire ai posteri più a venire, come eccellente tecnica modalità, da porre in essere nei trasferimenti da e per l’osannato “Continente Sardegna”![16]
Bene, onde comprendere quanto sia corrispondente al vero lo appena dichiarato paradigma, tornerò a prendere il cestino delle “cariasas” o ciliegie, per mettere in vetrina eclatanti prove di carattere storico:
-          Secondo alcune fonti (dedica di un tempio, Fasti Trionfali, Zonara) risulterebbe che il console Lucio Cornelio Scipione, nel 259 a.C., abbia conquistato la città di Aleria, sistemata circa a metà della costa orientale della Corsica, e sia poi andato a sud fino a raggiungere, e tentare di prendere la città di Olbia, sulla costa nord orientale sarda. Poi, forse per il timore di una sopraggiungente flotta cartaginese, prendesse la via del ritorno e, come riportato nei Fasti di Ovidio, la sua flotta risultò quasi interamente distrutta nelle acque della Corsica. Tornato salvo in patria, dedicò un tempio alla dea Tempesta. Ed è questo lo itinerario che io definisco  “come da manuale”!
-          Racconta Livio, un episodio verificatosi mentre correva l’anno 202 a.C.[17] Il console Tiberio Claudio Nerone, provenendo dal meridione italico con la sua flotta che doveva condurre in Africa, dopo essere scampato ad una violenta burrasca all’altezza di Cosa (Argentario), essendosi rifugiato a Populonia, di lì ebbe a ripartire e : «passò prima all’isola Ilva, poi in Corsica e di quì in Sardegna». Segno evidente che stesse percorrendo a ritroso la stessa rotta seguita dal console Cornelio. Ebbene sì, “come da manuale”!
-          Nel descrivere un accadimento del 397 d.C., mi collego al carme “In Gildonem” di Claudio Claudiano, dal quale estraggo quanto risulta di nostro interesse: una flotta romana comandata da  Mascezel parte da Pisa per andare in Africa e: «[…] Già la flotta avanza per l’alto mare; a destra i Liguri, a sinistra si lascia l’Etruria, la Corsica viene evitata per i suoi scogli nascosti. Si profila una grande isola dall’aspetto di piede umano (gli antichi coloni la chiamarono anticamente Sardegna) […][18]. Pur naufragando anche questa avventura nel mare in tempesta, che vede i Romani non ancora in grado di espletare un perfetto governo di una flotta dopo sei secoli e mezzo dal loro battesimo del mare (non per nulla eran prima dei contadini)!  Ma, è ancora chiaro, il percorso è quello solito “come da manuale”!
Bene, lettore attento e bramoso della possibile verità, spero d’averti fornito lo articolato strumento a cancellare ogni dubbio su “La risibile presunzione dei genetisti circa un antico isolamento della Sardegna”! 
Ti chiedo, in cambio, un favore: ove ti avveda, in un qualsiasi dove, sia esso studio specialistico, sia essa narrazione “storica”, sia esso convegno con “i soliti altoparlanti”, ci si azzardi a richiamare un qualche “isolamento genetico dei Sardi”, ebbene tu  FAI SENTIRE LA TUA VERITIERA VOCE  e rigetta nel buio più immorale, stoltiloqui che mai più vedan luce!
mikkelj tzoroddu

       






[1] §5.13- riassunto della storia genetica dell’Europa,  p.567.
[2] da profano riporto: la deriva genetica consiste nella fluttuazione della percentuale di un gene (più corretto è dire: di un allele) da una generazione all’altra
[3] F. Martini, 1999, Il più antico popolamento umano della Sardegna, in Sardegna Paleolitica. Studi sul più antico popolamento dell’isola, ed. Museo fiorentino di preistoria Palo Graziosi, Firenze; P.Y. Sondaar, 1998, Paleolithic Sardinians: Paleontological evidence and methods, in Sardinian and Aegean chronology, M.S. Balmuth and R.H. Tykot eds., Oxbow Books, Oxford; cfr. P.Y. Sondaar, R. Elburg, G.K. Hofmeijer, A. Spaan, H. De Visser, M. Sanges, F. Martini, 1993, Il popolamento della Sardegna nel tardo Pleistocene: nuova acquisizione di un resto fossile umano della grotta Corbeddu, in Rivista di scienze preistoriche XLV; cfr. P.Y. Sondaar, M.D. Dermitzakis, H. Drinia & J. De Vos, 1998, Paleoecological factors that controlled the survival and adaptation of the Pleistocene man on the Mediterranean islands, in Annales Géologiques des pays Helléniques, 1e Série, T. XXXVIII, Fasc. A, Dep. De Géologie, Athènes. Latita ancora la pubblicazione sarda, di scoperta che affianca, in area nuorese, quella descritta in F. Martini, 1999.
 
[4] Erodoto, Storie, I,170,2; inoltre V,106,6 e VI,2,1; Pausania, Periegesi Elladica, X,XVII,2B, tratto da W.H.S. Jones che deriva, attraverso F. Spiro, dal codice cartaceo P; Claudiano, In Gildonem, 504-8, da T. Cuzzone, ed. critica J.B. Hall; A.R. Toniolo, 1949,  La Corsica, clima, in Enciclopedia Treccani, Vol. XI, p.508.
[5] Museo Giovanni Capellini Bologna, 2004,  Map 1- Last Glacial Maximum.
[6] Ma, è questa prima (-1-) non riferita alla Mappa dell’UMG, ma soltanto una mia proiezione che si basa due lavori: T.H. Van Andel, 1989, Late quaternary sea-level changes and archaeology, in Antiquity Vol.63, N.240: 733-45; T.H. Van Andel and P.C. Tzedakis, 1996, Palaeolithic landscapes of Europe and environs, 150,000-25,000 years ago: an overview, in Quaternary Science Reviews, Vol.15: 481-500.
[7] Abbiamo così nomato la effettiva superficie di Pianosa che, nella data indicata, risultava essere almeno tre volte più estesa di quella attuale.
[8] Arias et al., 1986, Identificação da proveniência de manufaturados de obsidiana através da datação com o método do traço de fissão, in Ciência e Cultura 38(2).
[9] F. de Lanfranchi, 1998, Premier peuplement Holocène et Néolithique de L’Île de Corse, in Sardinian and Aegean chronology, M.S. Balmuth and R.H. Tykot eds., Oxbow Books, Oxford.
[10] J. Magdeleine, 1991, Une deuxiéme sépulture pré-néolithique de Corse, in Bulletin de la Société Pré historique Française 88: 80; R.H. Tykot, 1996, Obsidian procurement and distribution in the Central and Western Mediterranean, in Journal of Mediterranean Archaeology 9.1.
[11] B.R. Hallam et al., 1976, Obsidian in the Western Mediterranean: Characterisation by Neutron Activation Analysis and Optical Emission Spectroscopy, in Proceedings of the Prehistoric Society, 42: 85-110.
[12] R.H. Tykot, 1996, op. cit.
[13] Leggasi le pp.159-165 dell’infra citato “kircandesossardos”, per avere idea di come G. Tanda veda stringenti analogie fra le ceramiche sarde di circa 8.000 anni fa, da Grotta Filiestru, Grotta Corbeddu ecc., con Basi - Corsica (ed è naturale), Pienza - Siena e Grotta dell’Uzzo – Trapani! In più, anche dichiarando: «è ragionevole supporre che lo scambio dell’ossidiana abbia avuto una certa incidenza in questo processo di formazione dell’economia produttiva (nel Neolitico antico, ndr)»; ivi si vedrà anche che G. Calvi Rezia aggiunga che: “l’accostamento della ceramica impressa di Pienza e Basi abbia permesso di cogliere un complesso di caratteri comuni così notevole da far pensare le due località costituissero un’unica facies culturale”! Dulcis in fundo: J. Guilaine e J. Vaquer rilevano che: «è interessante constatare che una lamina (d’ossidiana) del Neolitico antico della Grotta Pollera proviene da Lipari, mentre un’altra del Neolitico antico della Grotta Pollera ed altre due della Grotta di Arene Candide provengono dalla Sardegna e rivelano dei contatti con il gruppo di Basi-Pienza»! Perché ovviamente, erano lo stesso gruppo! (sempre nelle stesse pagine di kircandesossardos).
[14] M. Tzoroddu, 2008, kircandesossardos, sardegna ricerca dell’origine, Zoroddu, Fiumicino. 
[15] O.W. Thorpe, S.E. Warren, L.H. Barfield, 1979, The source san d distribution of archaeological obsidian in Northen Italy, in Preistoria Alpina, 15; O.W. Thorpe, S.E. Warren, and J. Courtin, 1984, The distribution and sources of archaeological obsidian from Southern Frace, in Journal of Archaeological Science, 11; D. Binder, J. Courtin, 1994, Un point sur la circulation  de l’obsidienne dans le domaine provençal, in Gallia Préhistoire, 36; J. Guilaine, J. Vaquer, 1994, Les obsidiennes à l’ouest du Rhòne, in Gallia Préhistoire, 36; R.H. Tykot, 1996, Obsidian procurement and distribution in the Central and Western Mediterranean, in Journal of Mediterranean Archaeology, 9.1.
[16] Val la pena ricordare, molto ben a proposito del ridicolo tema “isolamento della Sardegna”, che i Sardi dell’antichità, ben lungi dal rappresentare una popolazione in “isolamento”, ovvero sconosciuta, erano forse i più noti fra tutte le popolazioni dell’intero bacino mediterraneo, tanto è vero che la loro eccelsa fama giunse fino al fondo delle epoche, raggiungendo ed imprimendosi indelebilmente fin nelle culture classiche, i cui maggiori autori decantavano la Sardegna descrivendola come un “Eldorado”! Ricordo, ancora una volta, agli smemorati lettori, come l’autore classico si rivolgeva alla Sardegna, decantandola universalmente “la migliore” come mai essi ebbero a definire nessun popolazione dell’intero Mediterraneo! Eccoli:  Polibio, Storie, I,79,6: «isola eccellente, sia per l’estensione, sia per l’abbondante popolazione, sia per i prodotti della terra»; lo Pseudoaristotele, De Mirabilibus Auscultationibus, num. 100: «felice e produttrice di tutto»; Diodoro Agiriense, Biblioteca Storica, IV,29,6: «rinomata per l’abbondanza dei suoi frutti»; Pausania, Periegesi Elladica, 4,XXIII,5,: «grandissima (richiamandosi ad Erodoto, ndr) e prima fra tutte per prosperità»; Erodoto, Storie I,170,2; V,106,6 e VI,2,: «Sardegna, la più grande fra tutte le isole (riferendosi alla già qui definita Sardegna Paleolitica, ndr)».
[17] Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXX, 39, 1-3.
[18] Il testo è preso da T. Cuzzone, 2007, L’invettiva contro Gildone. Motivi di propaganda politica e prassi letteraria. (Per un commento a Claud. carm. 15), Tesi, anno 2006-2007. Il testo si rifà all’edizione critica di J.B. Hall 1985.